La storia

Nel corso del primo conflitto mondiale il Macchi M.5 fu indubbiamente il più noto della lunga e brillante serie di idrovolanti realizzata dalla casa di Varese fin dal 1916. Una serie che, avviata  con il tipo L.1 derivato dall'omonimo ricognitore austriaco Lohner, finì con l'acquistare una propria autonomia progettuale sviluppandosi attraverso numerosi modelli sempre più perfezionati e potenti. Basti pensare che l'ultimo della famiglia fu lo M.71 degli anni Trenta, che venne impiegato come aereo imbarcato catapultabile a bordo degli incrociatori della classe Alberto da Giussano della Regia Marina. Una incontestabile prova del potenziale di queste macchine resta negli annali dell'aviazione con la vittoria di un Macchi M.7 bis alla edizione 1921 (11 agosto) della celebre Coppa Schneider di velocità: il pilota Mario De Briganti registrò una media di 189,66 km/h).

    L'avventura della Macchi (a quell'epoca l'azienda era nota come Società Anonima Nieuport-Macchi) nel settore degli idrovolanti da combattimento ebbe inizio nella notte del 27 maggio 1915, quando una avaria al motore costrinse un Lohner L.1 ad ammarare nei pressi della foce del Po. L'aereo venne catturato intatto e, poiché era considerato assai valido, fu deciso di riprodurlo per realizzarne una versione di serie. Lo L.1 era stato sviluppato in Austria dalla Jacob Lohner Werke und Sohn e costruito anche su licenza in Ungheria e in Germania (in totale circa 100 esemplari fino al 1916). Era un biplano a elica spingente con scafo centrale in legno, destinato alla ricognizione navale e al bombardamento leggero, caratterizzato da un abitacolo aperto con due posti affiancati per il pilota e l'osservatore, propulso da un motore Austro Daimler da 160 hp; l'armamento consisteva in una mitragliatrice e 200 kg di bombe. Le prestazioni erano complessivamente buone per la categoria: velocità massima di 105 km/h, automia di 600 km, tangenza 2500 m.

    La Macchi in poco più di un mese riuscì a realizzare un prototipo, praticamente uguale all'originale, che assunse la designazione di L.1. La produzione totalizzò 140 esemplari, che equipaggiarono le unità marittime da ricognizione e bombardamento basate in Adriatico. Dalla esperienza iniziale venne sviluppata una seconda versione (L.2) con l'obiettivo di migliorare le prestazioni del modello derivato dal Lohner. Il compito fu affidato nel 1916 all'ingegnere Carlo Felice Buzio il quale, non disponendo di una unità motrice di potenza sufficiente, decise di alleggerire la struttura, modificandola soprattutto nell'ala. L'intervento non si rivelò felice: il peso a vuoto fu ridotto di circa 250 kg, ma l'aereo risultò molto indebolito, al punto che, dopo la costruzione di soli 17 esemplari, fu necessario metterne a punto una nuova variante. Questa fu la L.3 (successivamente denominata M.3, visto che nel 1917 la Macchi decise di rivendicare la paternità del progetto), caratterizzata da scafo e impennaggio sostanzialmente rivisti e dalla adozione di un propulsore Isotta-Fraschini V-4B da 160 hp. I collaudi del prototipo rivelarono che i problemi strutturali erano stati superati e l'idrovolante venne subito immesso in produzione di serie (200 unità). Anche gli M.3 furono consegnati alla Regia Marina, che li impiegò come bombardieri e ricognitori, affidando loro anche compiti di scorta ai convogli. Nel 1917 gli idrovolanti Macchi vennero anche usati saltuariamente come caccia, sostituiti poi dai monoposto M.5. L'aereo rimase in servizio come addestratore e nel 1923 gli esemplari superstiti furono presi in carico dalla Regia Aeronautica, rimanendo attivi fino al 1924.

    Gli M.3 non operarono soltanto in ambito militare: alcuni furono acquistati dalla compagnia svizzera Ad Astra Aero e utilizzati su brevi rotte interne, dopo essere stati modificati nel posto di pilotaggio, in modo da ricavare spazio per due passeggeri. Da ricordare che la piccola aerolinea, fondata nel 1919 e operativa dal 1922, fu una delle prime in Europa e da essa (insieme alla Balair) nel 1931 prese vita la Swissair.

    Negli ultimi mesi del 1917 comparve il primo prototipo dello M.5. Carlo Felice Buzio, responsabile del progetto precedente, fu affiancato da Luigi Calzavara e questa volta il lavoro di definizione e messa a punto del monoposto andò avanti senza problemi. L'idro si rivelò estremamente agile e maneggevole, così valido da competere con successo con caccia di tipo terrestre, come i Phönix  austriaci. I primi esemplari entrarono in servizio nell'autunno ed ebbero subito un intenso impiego operativo. Cinque squadriglie di pattugliatori marittimi della Regia Marina vennero equipaggiate agli inizi del 1918 e i reparti, verso la metà dell'anno, ricevettero anche il più potente tipo M.5 Mod., di dimensioni leggermente inferiori, modificato nei galleggianti e dotato di una versione più potente (250 hp)  del motore  Isotta-Fraschini. La produzione totale fu di 244 unità, delle quali 44 realizzate dalla Società Aeronautica Italiana (dal 1934 SAI Ambrosini). I Macchi M.5 rimasero in servizio di prima linea fino al termine del conflitto. Al giorno dell'armistizio avevano portato a termine oltre 700 missioni e abbattuto 16 aerei avversari.

    I reparti italiani non furono i soli a portare in combattimento gli idrocaccia Macchi: verso la fine della guerra una unità americana basata a Porto Corsini entrò in azione con gli M.5 e, nel corso di una missione, uno dei suoi piloti, Charles Hamman, fu protagonista di un eroico salvataggio che gli valse la Medal of Honor, la prima in assoluto assegnata a un reparto navale statunitense. Durante un volo su Pola insieme ad altri quattro M.5 e un M.8, egli riuscì a soccorrere un collega abbattuto dai caccia austriaci, ammarando accanto al relitto e prendendo a bordo il compagno, George Ludlow. Nel rientrare alla base, con Ludlow aggrappato al castello motore, l'aereo si distrusse in ammaraggio, ma i due aviatori ne uscirono senza danni

    Meritano di essere ricordati gli altri due principali modelli realizzati durante il periodo bellico: il Macchi M.7 monoposto, sviluppato nel 1917 dall'ingegnere Alessandro Tonini, che si affermò come l'idrocaccia più veloce del suo tempo, con quasi 210 km/h di velocità massima; e lo M.9 da bombardamento, dalla struttura sostanzialmente modificata e dotato di un motore Fiat A-12 bis da 300 hp; appena 16 esemplari raggiunsero i reparti della Regia Marina nel 1918, ma l'aereo riuscì a partecipare ad alcune missioni di guerra. La sua carriera operativa andò avanti fino ai primi anni Venti.

 

 

Paolo Matricardi- Guida agli aeroplani di tutto il mondo, Vol. 2 - Mondadori Editore